Le politiche dei trasporti negli ultimi 10-15 anni sono state fortemente indirizzate alla costruzione di grandi infrastrutture, spesso e volentieri esagerate, costosissime e inutili. Il tutto per favorire alcune grandi lobbies del cemento, a scapito dei servizi di trasporto essenziali per i cittadini.

La pratica in questione ha trovato le sue maggiori manifestazioni nei progetti di TAV al confine italo-francese e del Ponte sullo Stretto di Messina; ma sono numerosi gli esempi di un approccio sbagliato, ispirato dalla deleteria Legge Obiettivo di Berlusconi/Lunardi, e alla mortificazione della più corretta selezione degli interventi attraverso un processo di pianificazione e valutazione con un coinvolgimento diretto delle popolazioni.

Riteniamo opportuno dar vita ad un gruppo di lavoro nazionale sul tema “TRASPORTI EQUO-SOSTENIBILI”  per affermare una visione “diversa, alternativa, giusta” delle politiche per i trasporti. Occorre mettere in discussione una concezione del governo del territorio che ha fatto il suo tempo, scalzandola definitivamente, tracciando un’alternativa più civile nella concezione e  realizzazione di lavori pubblici. In questo senso, anche per contrapporsi a chi asserisce strumentalmente che a manifestare sono delle minoranze che si oppongono ad ogni tipo di opera,  proporrei lo slogan “SI TES”, laddove TES sta per Trasporti Equo-Sostenibili.

In altri termini diciamo no al Treno ad Alta Velocità e proponiamo una politica lungimirante di Trasporti ispirata all’equità economica, sociale ed ambientale. Diciamo no ad un approccio di governo che non risponde ai canoni della corretta pianificazione; non ci sta bene che il decisore decida a priori senza proporre alternative comparate e senza  coinvolgere la comunità nel processo di valutazione. La buona prassi, in sede comunitaria, suggerisce che prima di decidere su un intervento infrastrutturale occorra disegnare scenari alternativi e porli pubblicamente a confronto. La negazione del processo partecipativo nelle scelte di progetto e nella gestione dell’esercizio sono di per sé deleteri. Invito a riflettere sul senso del NO TAV, SI TES attraverso alcuni esempi.

Negli ultimi 15 anni sono state investite risorse pubbliche considerevoli per l’Alta Velocità, trascurando i servizi di trasporto ferroviari regionali, in assoluta contraddizione con i dati di mobilità. Abbiamo speso circa 100 Mdi Euro per una linea forte che collega solo alcune metropoli a scapito di tutto il resto del paese, e solo 4 Mdi Euro per i servizi ferroviari ordinari. Altri 40 Mdi di investimento sono previsti dai boiardi di stato per completare il disegno dei cosiddetti “corridoi AV”. Ma è la concezione dei corridoi che non va bene, nel momento in cui essa si traduce in mancanza di reti diffuse e in effetto marginalizzazione per ampie fasce di territorio e di popolazioni. I pendolari che si muovono quotidianamente in treno sono 2,6 milioni, i viaggiatori sulla lunga percorrenza sono appena 300 mila; basterebbe questo dato per affermare che sarebbe più equo-sostenibile  indirizzare le risorse primariamente sulle ferrovie regionali. Invece continua a prevalere l’ingiustizia. La distribuzione delle risorse fra i diversi modi di trasporto privilegia i modi privati motorizzati (82% auto e moto) a scapito di linee su ferro (5%) o servizi di trasporto pubblico (TP) urbano (11%). I tagli al Trasporto Ferroviario regionale sono continui e l’effetto è sotto gli occhi di tutti: treni soppressi, treni sempre più vecchi, sporchi, soggetti a guasti, servizi da terzo mondo. In alcune regioni non si comprano treni ormai da decenni. Trenitalia, azienda di Stato, persegue una politica inaccettabile; avvalendosi esclusivamente di fondi pubblici, tende a rispondere alle esigenze di una minoranza di utenti. Non sarà certo la liberalizzazione sbandierata dei servizi a rallentare il degrado in atto; tale strategia, ispirata dalla Thatcher venti anni fa, è stata devastante laddove applicata. Colpisce i più deboli, colpisce le regioni più povere, è ingiusta, non è equo-sostenibile.

Un altro evidente squilibrio nel sistema di trasporto nazionale è quello fra regioni del Nord e regioni del Sud; e non si tratta di banalità. A parte la maggiore estesa di autostrade e viabilità di qualità, si rileva che: a fronte di 50 km di rete a doppio binario per 100 km di rete nel Nord, nel Sud se ne trovano 27; a fronte di numerosi collegamenti ferroviari tra regioni del Nord, quelli fra regioni del Sud sono rari e di scarsa qualità (ad esempio si ha una media di 12,3 Eurostar/giorno contro 1,7); a Nord si ha il TAV (3,5 ore sulla Milano-Roma), a Sud no e quello che è peggio si tagliano i treni a lunga percorrenza. E’ recente un intervento pubblico che non eguali nel mondo occidentale, finalizzato a socializzare le perdite e privatizzare i profitti: il salvataggio dell’Alitalia, costato 2,7 Mdi € al contribuente, e la cessione della gestione ad imprenditori privati che puntano a trarre profitti concentrando i servizi sulle tratte più remunerative. Su 263 porti censiti in Italia, ben 178 si trovano nel Mezzogiorno e 45 nel Nord, ma in termini di equipaggiamenti e peso economico il rapporto è ribaltato ed il grosso degli investimenti continua ad essere indirizzato solo sulla parte più ricca del paese. Analogo discorso vale per le infrastrutture e i servizi di logistica, con le principali piattaforme di scambio merci situate nel Centro-Nord, mentre a Sud si dismettono sistematicamente le stazioni cargo ad opera di Ferrovie dello Stato; quest’ultimo ente propone, peraltro, la creazione di 9 poli interportuali, localizzati tutti in pianura padana, ad eccezione di uno scalo in Campania. Equo-sostenibilità nei trasporti significa anche riequilibrio e coesione territoriale.

In barba alle risultanze degli studi relativi alla domanda di trasporto ferroviario e alle risultanze negative delle Analisi Costi/Benefici, economiche e finanziarie, si insiste su un progetto sbagliato di TAV nel Nord-Ovest del paese, senza ricercare soluzioni alternative, criminalizzando le popolazioni della Val di Susa che hanno colto l’insensatezza dell’opera. Non è la ferrovia ad essere posta in discussione, è un progetto irragionevole, calato dall’alto ed estremamente costoso sia in termini di investimento (16 Mdi Euro) sia in termini di impatto sul territorio, con benefici di fatto inconsistenti.  Una linea con opere d’arte esagerate: 33 km di gallerie in Italia e altri 52 km sotto le Alpi per trasportare più velocemente merci che non sono, né in quantità né in qualità, tali da giustificare un simile investimento. Con un tale ammontare di risorse si potrebbero realizzare ben altri interventi di trasporto equo-sostenibile.

Riguardo al ponte sullo Stretto, il Governo Monti ha posto un freno ad un progetto inconsistente e divoratore di risorse pubbliche, ma non ha ancora provveduto a sciogliere la Società Stretto di Messina, come richiesto da numerose associazioni e movimenti di contestazione. Che l’opera ciclopica calata dall’alto non sia convincente lo rivela anche un sondaggio operato su Internet (www.pontedimessina.it), che ha coinvolto circa 27 mila navigatori della rete nel 2010: oltre il 70% è contro. L’alternativa equo-sostenibile consiste di una molteplicità di interventi sul sistema dei trasporti delle regioni Calabria e Sicilia, di piccola e media entità, utili, necessari, di grandi effetti positivi. Con una spesa stimata pari ad un terzo del costo del ponte.

Ma che la politica vecchio stampo di questi tempi non abbia molto da dire lo si coglie anche da altri segnali sparsi: un tunnel sotto la città di Firenze per il TAV serve solo a far lievitare i costi, i rischi, gli interessi delle lobby del cemento. L’inaugurazione recente della stazione megagalattica di Roma Tiburtina è uno schiaffo alla dignità: 320 Milioni di Euro per un nodo di transito passeggeri. Con la stessa cifra si sarebbe potuto innalzare significativamente lo standard dei servizi ferroviari in tutta la regione Lazio. Basti pensare che la cifra equivale a 40 treni regionali di ultima generazione.

Non si può seguitare con la politica degli squilibri. Occorre affermare il diritto ad una Mobilità Sostenibile ed a costo equo. Mobilità che non produca effetti negativi sull’ambiente oltre soglie determinate, che non riverberi ricadute negative sulle future innocenti generazioni. Occorre assumere una nuova visione del rapporto fra cittadini e territorio, dell’urbanistica, dell’assetto dei sistemi e delle tecnologie di trasporto, nuovi modelli culturali, l’affermazione di un principio di responsabilità collettiva al fine di limitare le esigenze private quando queste diventano prevaricatrici.

Trasporto equo è anche quello che non falcidia migliaia di vite umane. Bisogna arrestare la strage che ogni anno si verifica sulla rete stradale italiana a causa degli incidenti. Ma anche azzerare le morti bianche dei lavoratori del trasporto, dai portuali ai ferrovieri, agli operai dei cantieri che rappresentano oltre il 60% delle vittime sul posto di lavoro. Trasporto equo è ancora quello che non lucra secondo le logiche dell’intermediazione parassitaria a scapito dei produttori e dei consumatori finali dei beni. In una società civile, il diritto alla mobilità non può rispondere solo a logiche finanziarie, deve rappresentare una componente sostanziale del diritto alla libertà.

Sotto queste premesse nasce la “Vertenza Ferrovie”. L’obiettivo è un nuovo assetto dei trasporti ferroviari, che prevede anche un miglioramento e un potenziamento delle reti di servizi regionali e interregionali. Avanziamo proposte motivate nell’idea di sensibilizzare le popolazioni, ridare loro fiducia e coinvolgerli nella lotta, e far capire inoltre ai decisori che non possono decidere a tavolino e sulla testa della comunità. Abbiamo intrapreso molteplici forme di lotta ed altre sono in calendario. Ormai sono decine e decine i comitati di pendolari e cittadini che hanno a cuore il destino delle ferrovie in Italia; è tempo di unire e coordinare le forze attraverso una rete nazionale. Vogliamo mettere in rete su questa tematica tutti quelli che sono interessati o che già stanno conducendo delle battaglie come in Val di Susa, a Firenze, in Calabria, in Campania. Potremmo dar vita ad una rete nazionale strutturata e allargare l’orizzonte anche al campo europeo dove sono già attivi altri movimenti che condividono le nostre idee.