E venne in Calabria un Ministro. Sì con la ‘m’ grande. Uno dei potenti ministri del Governo Berlusconi. Il più potente, si dice. L’amico migliore della Lega. E la Lega, si sa, i meridionali non li vorrebbe avere più tra i piedi. Uno che non sarebbe ingeneroso definire supponente, a volte; pure antipatico, particolare di carattere, ma di cui non si può dire che sia incompetente o, al pari di altri suoi colleghi, in caduta libera per ciò che attiene l’ affidabilità, il contegno e il prestigio individuale. Di cui non si può dire che, nonostante la sua vicinanza a Bossi e soci, nutra livore per il Sud, benché sia il ministro che ha definito “cialtroni” i politici alla guida delle Regioni del Sud per via dell’incapacità di spendere i fondi comunitari. E non viene da solo, ma scortato da due pezzi grossi del sindacato, i leader di Cisl e Uil, Bonanni e Angeletti che, nella foga, hanno persino dimenticato d’invitare la Camusso. Anche questo, come dire?, lascia intuire la capacità del professor Tremonti di tessere tele importanti in vista di sbocchi non più fantasiosi alla crisi politica che attanaglia il Paese. Ma non viene in Calabria, come sarebbe ipotizzabile, per incontrare i politici o le istanze più rappresentative della società, magari per dare assicurazioni – una volta per tutte – sulla vertenza che tiene col fiato sospeso la Fiat calabrese, cioè quella straordinaria porta spalancata sul mondo che è il porto di Gioia Tauro. Neppure per fare il punto sulla spesa comunitarie, che tanto l’ha inquietato. No, viene per rendersi conto, spiegano le agenzie di stampa, dello stato in cui versa il nostro sistema viario, ferrovie, in primis, e poi la Sa/Rc. Ma dai!, verrebbe da dire, non è possibile. Ci deve essere per forza dell’altro. Quale parte del generale disastro trasportistico e infrastrutturale calabrese, infatti, è ancora ignota al Governo? Persino le pietre sanno l’entità dei ritardi dell’ultima regione d’Europa in tutti i settori dell’economia e dello sviluppo. Per sapere cosa non va nelle ferrovie, bastava, per esempio, che un segretario del ministro telefonasse al giornalista Andrea Gualteri, che con scrupolo ha curato per settimane su questo giornale un’inchiesta sulle inefficienze ferroviarie nella regione, raccontando le avventure quotidiane dei pendolari e la sorda ostilità del management delle Fs. Avrebbe avuto di che inorridire! E per sapere di più sulla Sa/Rc, sarebbe stato più che sufficiente leggere l’ultima relazione della Commissione parlamentare antimafia e sentisse Confindustria, i sindacati, la Regione e persino l’Anas…Insomma, non è da credersi che un ministro di tal fatta, forse l’unico in grado persino di dire dei ‘no’ a Berlusconi, abbia varcato i confini della “razza maledetta” per stupire i viaggiatori che se lo sono visti ieri in carrozza. Se cosi fosse, il viaggio dei tre fra la plebaglia calabrese non evocherebbe la missione di civiltà che avevano in animo di compiere nel Sud i toscani Franchetti e Sonnino o il lombardo Zanardelli, ma le peripezie più prosaiche, e perciò più consone alla congiuntura che attraversiamo, narrate in quel divertente libro di Jerome K Jerome del 1889, “Tre uomini in barca”. Zeppo di gag e indimenticabile per la sua prosa briosa e leggera. La differenza tra i due viaggi, se vogliamo, non è data solo dal fatto che i tre di Jerome andavano in barca e Tremonti, Bonanni ed Angeletti invece in treno e pullman, bensì dal fatto che il viaggio di “Tre uomini in barca” faceva ridere, mentre questo viaggio, vista la mole dei problemi su cui scivola, suscita non un’acre disapprovazione, ma sentimenti di sconforto…
Romano Pitaro (13/2/2011)